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OHCHR: “raggiunta la soglia che indica che Israele ha commesso un genocidio”

Ground invasion and aerial bombardment have destroyed agricultural land, farms, crops, animals and fishing assets, gravely undermining people’s livelihoods, the environment and agricultural system.

Conclusion: “There are reasonable grounds to believe that the threshold indicating Israel’s commission of genocide is met.

Anatomy of a Genocide – Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967, Francesca Albanese

Human Rights Council, Fifty-fifth session, 26 February–5 April 2024
Agenda item 7 – Human Rights situation in Palestine and other occupied Arab territories

Leggi qui il rapporto originale integrale.

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Mazin Qumsiyeh, biologo palestinese resistente

La Palestina non è mai stata un Paese povero e non aveva problemi strutturali o una carenza di risorse naturali. I palestinesi crescevano il loro cibo e lo esportavano: la maggior parte degli agrumi in Europa venivano importati dalla Palestina qualche anno fa. Siamo parte della mezzaluna fertile, dove gli esseri umani hanno sviluppato l’agricoltura. Poi, è arrivato il sionismo e ha portato povertà e pulizie etniche. Dei 13 milioni di palestinesi nel mondo, 7,5 sono rifugiati o sfollati”.

La colonizzazione ci ha preso 11 migliaia di miliardi di dollari di proprietà, fra case, terre ecc. Come i Bantu in Sudafrica, che erano dipendenti dall’economia sudafricana perché erano sotto assedio e non potevano produrre e importare il loro cibo, noi ora siamo nella stessa situazione. Israele guadagna 12 miliardi di dollari all’anno tenendo l’economia della Cisgiordania in ostaggio. E questa cifra non tiene conto del saccheggiamento delle risorse naturali: acqua, minerali del Mar Morto, petrolio e gas naturale sulla costa del Mediterraneo, in acque palestinesi. Anche escludendo le terre occupate nel 1948, il gas naturale nel Mediterraneo e nelle acque al largo della striscia di Gaza, che è stata occupata nel 1967.”

Tutte queste politiche violano le leggi internazionali.

Secondo Mazim Qumsiyeh la colonizzazione può finire in tre modi: con i colonizzatori che se ne vanno (come in Algeria), con il genocidio dei nativi (come nelle Americhe), o con la convivenza tra i discendenti dei colonizzatori e dei colonizzati.
Non c’è un quarto scenario.
Dividere un Paese fra colonizzatori e colonizzati non è un’opzione possibile, non è mai successo, non può succedere per tantissime ragioni.

Mazin Qumsiyeh è un biologo, scrittore e attivista non violento palestinese. Ha vissuto molti anni negli Stati Uniti, ha insegnato a Yale e alla Duke University, è tornato in Palestina nel 2008. È stato fondatore e tesoriere nazionale di Al-Awda, la Coalizione per il diritto di ritorno palestinese negli Stati Uniti. È stato presidente della Fondazione per la conservazione della Terra Santa e dell’Associazione mediorientale di genetica. Fondatore e Presidente del Museo di storia naturale della Palestina e dell’Istituto per la biodiversità e la sostenibilità all’Università di Betlemme.

I brani qui sopra vengono dall’intervista di Mazin Qumsiyeh a Irene Ivanaj che trovi qui completa in originale.

Qui in podcast l’intervista a Mazin Qumsiyeh per Stories di Cecilia Sala.

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Palestina

La terra non c’è più e nemmeno le contadine

Non è più questione di terre da coltivare.
Non è più questione di coltivare.
La terra non c’è più.

“la densità sarà di circa 62.500 persone per chilometro quadrato.

In un’area aperta, senza grattacieli per ospitare i rifugiati, senza acqua corrente, senza privacy, senza mezzi di sostentamento, ospedali o cliniche mediche, senza pannelli solari per caricare i telefoni, e tutto questo mentre le organizzazioni umanitarie dovranno attraversare o avvicinarsi alle zone in cui sono in corso i combattimenti per distribuire le piccole quantità di aiuti che entrano nella Striscia di Gaza.

Sembra che l’unico modo per contenere tutte queste persone in uno spazio così stretto è farle stare in piedi o in ginocchio.

Forse sarà necessario formare dei comitati che stabiliranno i turni per dormire: alcune migliaia di persone si sdraieranno mentre le altre resteranno sveglie.

Il ronzio dei droni, le grida dei neonati con le madri che non hanno latte o ne hanno poco saranno la snervante colonna sonora.”

Questo ci si aspetta a Rafah (nel sud della Striscia di Gaza al confine con l’Egitto) dove circa 1,4 milioni di palestinesi sono stati spinti e concentrati.

“chiunque resta in un’area destinata a un’invasione di terra non è considerato un civile innocente; non è considerato “non coinvolto”.

Chiunque rimane nella sua casa ed esce per andare a prendere l’acqua in una struttura cittadina ancora in funzione o in un pozzo privato, gli operatori sanitari chiamati a curare un paziente, una donna incinta che va a piedi in un ospedale vicino per partorire: tutti, come abbiamo visto durante la guerra e nelle campagne militari passate, sono criminali agli occhi dei soldati. Sparare e ucciderli è previsto dalle regole di ingaggio delle forze armate israeliane.

L’esercito sostiene di rispettare il diritto internazionale, perché questi individui sono stati avvertiti che devono andarsene”

Amira Hass è una giornalista israeliana. Vive a Ramallah, in Cisgiordania, e scrive per il quotidiano Haaretz.

Da Internazionale, n. 1550 del 16 febbraio 2024.

Leggi qui l’articolo completo in italiano su Internazionale

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L’Onu aggiorna l’elenco delle aziende che supportano l’occupazione israeliana

L’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite ha divulgato a fine giugno un aggiornamento del database delle imprese coinvolte in attività legate agli insediamenti nei Territori palestinesi occupati (Opt), inclusa Gerusalemme Est.

L’inchiesta dell’Onu ha l’obiettivo di approfondire le conseguenze sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali del popolo palestinese nei territori illegalmente occupati da Israele da oltre 50 anni, fortemente penalizzati dal rischio di conflitti e violenze e dalla sistematica violazione dei diritti umani.

L’idea di una lista di imprese presenti nei Territori è nata nel 2016 dall’iniziativa del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, per dare seguito al rapporto del 2013 della Missione di indagine indipendente sulle implicazioni degli insediamenti israeliani.
Secondo il diritto internazionale, infatti, tutti gli insediamenti nei Territori sono da considerarsi illegittimi e in aperto contrasto con le norme consuetudinarie e convenzionali; sebbene la creazione e l’espansione degli insediamenti nei territori occupati, nonché il trasferimento di popolazione civile da parte di Israele in questi territori, siano quindi contrari al diritto internazionale, il rapporto non vuole essere un avvertimento di carattere giudiziale o stragiudiziale, né sindacare sulla legalità delle attività di per sé, ma rispondere a un principio di trasparenza e dialogo con gli Stati

Scarica qui l’elenco aggiornato

Leggi qui l’articolo originale su Altreconomia

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Tecnologia per uccidere

Israele è uno dei principali produttori ed esportatori mondiali di armamenti (10° secondo ISPRA 2018-2022).

Probabilmente i territori occupati sono un ottimo terreno per sviluppare indisturbati le tecnologie, nonché una buona garanzia per i potenziali clienti che acquistano prodotti ben testati.

Ecco un esempio di drone nella duplice versione: militare (in versione chiamata “incruenta”) e civile (in versione “agricola”).

Per sterminare umano e non-umano direttamente dall’ufficio.

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Gaza: genocidio e inaccessibilità al cibo

Access to Food in Gaza: The Bleak Intersection of Genocide and Food Inaccessibility

Union of Agricultural Work Commitments (UAWC) Statement, 24 October 2023

The ongoing crisis in the Gaza Strip has reached alarming proportions, with its impact echoing far beyond its immediate geographic confines. At the core of this escalating disaster is the fundamental human right to food—a right that is now perilously under threat for the Palestinian residents of Gaza.

Historically, Gaza has been an epicenter of rich agricultural production, feeding not only its own residents but also serving as a vital food resource in the region. But the recent waves of Israeli aggression and sustained blockades have crippled this once-thriving sector. The disruption of essential imports, coupled with the inaccessibility to local farmlands due to conflict, has left the people of Gaza with dwindling food resources.

The severity of this situation cannot be understated. Without adequate food, residents face malnutrition, increased vulnerability to diseases, and a heightened mortality rate, especially among children and the elderly. The daily struggles of families trying to secure a single meal, with parents facing the heart-wrenching ordeal of seeing their children go hungry, are becoming the distressing norm.

Beyond the immediate physiological effects of food scarcity, there are profound psychological and societal implications. Chronic hunger breeds despair, intensifies trauma, and deepens socio-economic inequalities. In the broader spectrum, this crisis threatens to destabilize an already fragile region, with potential repercussions on a global scale.

Given the magnitude of this emergency, it is incumbent upon the international community to intervene promptly and robustly. A multifaceted approach is crucial—encompassing immediate relief efforts, sustained diplomatic interventions to restore peace, and long-term strategies to rejuvenate Gaza’s agricultural sector.

Inaction or delayed action will only serve to exacerbate an already grave situation. With each passing day, the humanitarian catastrophe inches closer to an irreversible tipping point. Hence, it is imperative that global powers, humanitarian organizations, and the broader international community rally together to prevent further degradation of life in Gaza and uphold the sacrosanct right to food for its people.

Leggi qui l’articolo originale:
https://viacampesina.org/en/access-to-food-in-gaza-the-bleak-intersection-of-genocide-and-food-inaccessibility/

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Nuova dichiarazione e appello de La Via Campesina

Il genocidio israeliano in corso a Gaza: un appello per un’azione globale immediata!

Dichiarazione della Via Campesina

(Bagnolet, 25 gennaio 2023) Mentre la guerra intrapresa dall’occupazione israeliana nella Striscia di Gaza entra nei suoi 106 giorni, La Via Campesina è solidale con il popolo di Gaza, che sta attraversando una crisi umanitaria inimmaginabile.
Questa guerra di annientamento ha provocato oltre 25.000 vittime, più di 62.000 feriti e oltre 8.000 dispersi – uno sconcertante 4% della popolazione di Gaza.
Questa statistica allarmante dipinge un quadro terrificante della situazione a Gaza, una regione in cui gli elementi essenziali della vita sono scomparsi, abbandonando la sua popolazione in una ricerca di sicurezza senza fine.

Ad aggravare ulteriormente questa terribile situazione è il blocco al valico di Rafah. A oltre 15.000 camion carichi di cibo, acqua e forniture mediche ssolutamente necessarie viene impedito di entrare a Gaza. È stato consentito il passaggio solo a poche centinaia di camion, lasciando la maggior parte bloccati al confine. Questo blocco rappresenta un uso vergognoso della fame come arma contro i civili, una palese violazione dei diritti umani.

Le azioni dell’occupazione israeliana hanno portato alla distruzione quasi totale di oltre il 75% di Gaza, in tutto o in parte.
Le famiglie in fuga per motivi di sicurezza vengono ripetutamente prese di mira, e la loro probabilità di morte a causa di attacchi successivi aumenta in continuo.
L’uso spietato della fame come arma da parte dell’occupazione israeliana evidenzia una strategia vergognosa contro i civili.

Mentre ci avviciniamo all’inizio del Ramadan, che inizia all’inizio di marzo, la situazione a Gaza diventa ancora più critica. L’escalation storica durante questo periodo, combinata con la massiccia carenza di cibo, indica che la guerra si intensificherà e si diffonderà anche in Cisgiordania, che sta già sperimentando operazioni senza precedenti di uccisioni e distruzioni da parte dell’occupazione.

La Via Campesina chiede con urgenza alla comunità internazionale di intervenire e salvare oltre 5 milioni di palestinesi a Gaza e in Cisgiordania dai pericoli di fame, morte e uccisione.
Chiediamo la fine dell’occupazione, la messa sotto accusa dei criminali di guerra israeliani e che non sia permesso loro di eludere la giustizia come in passato.

Esortiamo le nazioni libere del mondo a seguire l’esempio del Sud Africa avviando azioni legali contro l’occupazione nei tribunali internazionali, in particolare presso la Corte Internazionale di Giustizia. Ciò è fondamentale per imporre un completo isolamento allo Stato israeliano, costringendolo a ritirarsi e a fermare la guerra.

Dobbiamo unire i nostri sforzi e intensificare le nostre voci per porre fine a questa guerra e prevenirne la diffusione nei prossimi mesi.

Per il diritto a vivere in pace, giustizia e dignità.

Leggi qui l’originale completo:
https://viacampesina.org/en/the-ongoing-israeli-genocide-in-gaza-a-call-for-immediate-global-action/

Firma qui l’appello:
ACT NOW FOR PALESTINE! EVERY ACTION COUNTS!

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Agribusiness as Usual

Qui sotto un estratto da “Agribusiness as Usual – Agricultural Technology and the Israeli Occupation” pubblicato nel gennaio 2020 dal centro di ricerca “Who Profits”.

Who Profits Research Center è un centro di ricerca indipendente (fondato nel 2007 dalla Coalition of Women for Peace) che lavora sul coinvolgimento commerciale di aziende israeliane e internazionali nell’attuale occupazione israeliana della terra e della popolazione palestinese e siriana.


In this report, Who Profits shows that Israeli agritech companies are deeply complicit in the ongoing occupation of Palestinian and Syrian land. The report exposes the contribution of agritech firms to agriculture in illegal settlements and examines their role in the Israeli blockade of Gaza. It investigates the reciprocal ties that exist between the Israeli agritech and military industries and highlights the economic gains made by Israeli agritech industries through their collaboration with the Israeli military apparatus.

Irrigating fields, protecting crops and providing technical support to farmers are generally regarded as benign, even positive, activities. Yet as this report demonstrates, in the context of Israel’s prolonged military occupation of Palestinian and Syrian territory, such activities acquire a regressive political character and become implicated in structures of repression, land grab and rights violations.

Unlike agriculture, which physically appropriates land and resources, agricultural technology (agritech) forms a largely invisible layer in the ongoing process of dispossession through agricultural land grab in the occupied West Bank and Syrian Golan. Rarely discernible to the naked eye, irrigation pipes, fertilizers and herbicides and agronomic technical assistance nonetheless play a crucial part in sustaining illegal settlement agriculture.

Moreover, while the use of the occupied Palestinian territory and its captive population as a laboratory for military and crowd control technologies is well documented, this report demonstrates that the framework of occupation also provides the civilian agritech sector with a testing ground for the development of products and technologies.

Through their participation in agricultural experiments conducted by settlement Research and Development (R&D) centers, major agritech corporations such as Israel Chemicals and Netafim are able to use occupied land as a laboratory for the testing of products.

Furthermore, Israeli and international agritech firms increasingly collaborate with Israeli military and security corporations to extend the commercialization of occupation-generated know-how well beyond the purview of security markets. Collaborations include the adaptation of the Iron Dome command and control system for smart irrigation as well as the use of Israel Aerospace Industries (IAI) military drones for large scale precision agriculture. Such partnerships enable Israeli military corporations to penetrate new markets while positioning a sanitized version of their repressive technologies, developed in the context of a prolonged military occupation, as part of the effort to combat the global crises of climate change and food insecurity.

This report examines the Israeli agritech industry and R&D activity in occupied territory and exposes the complicity of Israeli and international corporations in settlement agricultural production. It also presents the use of herbicide spraying against Palestinian farmers in the besieged Gaza Strip. Finally, it investigates commercial agritech applications of military technology, focusing on four recent case studies.

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Campiaperti Bologna in sostegno alla lotta palestinese

Campiaperti è a fianco dei e delle contadine palestinesi, rammentando le condizioni di vita e di lavoro a cui sono da sempre costretti a causa dell’occupazione israeliana.

Queste le richieste:

  • Cessate il fuoco permanente e la revoca dell’assedio della Striscia di Gaza
  • Ingresso di aiuti umanitari in quantità adeguata alle necessità della popolazione di Gaza
  • Fine delle incursioni delle forze armate israeliane e degli attacchi dei coloni contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est
  • Opposizione al piano di Israele di sfollare forzatamente i palestinesi, sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania.
  • Rilascio degli ostaggi civili israeliani detenuti a Gaza e liberazione dei prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane
  • Sanzioni legali contro Israele, compreso un embargo militare globale.
  • Pressioni sostanziali sulla Corte Penale Internazionale (CPI) affinché agisca immediatamente per perseguire i criminali di guerra israeliani.
  • Sostegno pieno al procedimento per genocidio aperto dal Sudafrica contro Israele presso la Corte internazionale di giustizia (ICJ)
  • Fine dell’occupazione militare e del regime colonialista e di apartheid imposto al popolo palestinese da parte di Israele

Campiaperti Bologna sostiene la necessità di continuare e intensificare la mobilitazione su questi obiettivi, rafforzando il movimento di solidarietà con la lotta delle e dei palestinesi per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza, creando convergenze e sinergie tra tutte le realtà che sostengono il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e dei suoi pieni diritti sanciti dalle risoluzioni delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale, incluso il diritto alla resistenza contro l’occupazione.

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Military trains with live fire near homes and in cultivated fields, al-Farisiyah

Solo due esempi tra gli innumerevoli casi di devastazione delle terre agricole.

Martedì 9 gennaio 2024, i soldati israeliani arrivano nella comunità di Ehmeir ad al-Farisiyah, nella Valle del Giordano. Montano le tende vicino alle case dei residenti e nei loro campi coltivati.
L’addestramento continua per due giorni senza che fosse arrivato alcun preavviso ai residenti.

Domenica 21 gennaio 2024, i soldati entrano nuovamente nel territorio della comunità, montano le tende e si addestrano per due giorni vicino alle case.
Stesso giorno, i soldati entrano anche nella vicina comunità di Khirbet Samrah e nelle aree agricole di Khallet Ajme’ e Sahel al-Burj, montano le tende nei campi di grano dei residenti e iniziano l’addestramento impedendo ai residenti della zona l’accesso ai campi.

Fonte: https://www.btselem.org