Agroecologia trasformativa

Quali coordinate per una agroecologia trasformativa?

Gruppo di Lavoro Conoscenza di Cambiare il Campo

Questo testo nasce dall’esigenza di iniziare a definire una cornice politico-culturale entro cui un processo di Convergenza Agroecologica e Sociale – di cui Cambiare il Campo si fa promotrice – possa dispiegarsi in maniera efficace. Si tratta di un primo tassello per chiarire meglio i contorni del concetto di agroecologia e per capire in che modo esso possa rappresentare un terreno di attivazione sociale e iniziativa politica.

Nel fare questo non partiamo certamente da zero. L’agroecologia è un concetto ormai molto diffuso, attorno al quale negli anni si è sviluppato un grande dibattito sia in ambiente accademico che nelle reti e nei movimenti sociali. Abbiamo quindi a nostra disposizione un vasto patrimonio di contributi, riflessioni, chiavi di lettura a cui fare riferimento.

Come orientarsi però in uno scenario così variegato? Dove cercare una concettualizzazione dell’agroecologia che faccia da filo a piombo per la convergenza che vogliamo costruire?

È possibile utilizzare alcuni riferimenti chiave come punti di partenza. A fronte dell’ampiezza del dibattito, infatti, si è assistito in anni recenti a diversi tentativi di definizione da parte di diversi attori internazionali. In particolare, tre autorevoli documenti compendiano e raccolgono, a partire da punti di accesso diversi, le principali acquisizioni che l’agroecologia ha prodotto nel corso della sua storia:

  • 11 pilastri della Dichiarazione di Nyélény (2015), che rappresenta il punto di vista dei movimenti sociali e delle organizzazioni che hanno fatto dell’agroecologia un terreno di iniziativa politica.
  • 10 elementi dell’agroecologia FAO (2018), che rappresentano la chiave di lettura e la definizione istituzionale dell’agroecologia;
  • 13 principi di agroecologia (2019) elaborati dall’High Level Panel of Experts on food security and nutrition (HLPE), organismo scientifico indipendente che opera nell’ambito del Committee on World Food Security (CFS) delle Nazioni Unite. I 13 principi possono essere per certi aspetti considerati la summa delle riflessioni del mondo accademico e scientifico rispetto all’agroecologia;

In tutti e tre i documenti l’agroecologia viene descritta come un approccio multidimensionale che, pur muovendo dall’applicazione di principi ecologici alla produzione agricola e alla progettazione degli agroecosistemi, arriva in realtà a coinvolgere tutte le componenti dei sistemi alimentari (mercati, sistemi di conoscenza, processi economici, modelli di consumo, governance, ecc.).

Nel porsi in questa prospettiva ciascuno dei documenti citati pone inevitabilmente l’accento su alcuni aspetti particolari, riflettendo il contesto in cui è stato prodotto e le priorità che i soggetti che lo hanno redatto (istituzioni, mondo scientifico, movimenti sociali) perseguono.

Emerge in modo chiaro, per esempio, che i 10 elementi e i 13 principi rappresentano, pur con sfumature diverse, dei tentativi di rendere operativa l’agroecologia. Alla base vi è l’identificazione di una serie di indicatori che consentono fra l’altro di valutare la reale coerenza di processi e pratiche produttive, sociali ed economiche con il quadro proposto e di progettare interventi concreti. Nel fare ciò riservano inevitabilmente un più ampio spazio alle dimensioni tecnica e produttiva (agroecologia come scienza e pratica). La dichiarazione di Nyélény, invece, è più simile ad una piattaforma di movimento e approfondisce maggiormente la dimensione socio-politica, mettendo l’accento sui diritti dei produttori e delle comunità; sul loro rapporto materiale, culturale e spirituale con la terra e il cibo; sulla gestione democratica e partecipativa dei sistemi alimentari; sulla creazione di processi economici orientati alla giustizia sociale; sul contrasto alle relazioni di potere che pervadono il modello agroindustriale (agroecologia come movimento).

Ciò che proponiamo, dunque, è la lettura congiunta ed integrata di questi insieme di principi. In tal modo riesce ad emergere la potenziale complementarità fra i tre approcci nella misura in cui ciascuno di essi approfondisce gli aspetti su cui meno si soffermano gli altri. In questo modo lo spazio all’interno del triangolo ai cui vertici si collocano i tre documenti può divenire un terreno fertile per la costruzione di narrazioni, pratiche e mobilitazioni in chiave agroecologica.

La forza di un simile approccio sta nella possibilità di integrare le diverse dimensioni dell’agroecologia in modo da poter porre l’accento su ciascuna di esse e di agire a diversi livelli di scala (dalla singola unità produttiva fino al sistema alimentare globale) senza rinunciare ad uno sguardo olistico e sistemico. Così, per esempio, anche quando ragioniamo in modo specifico di pratiche produttive capiamo immediatamente come esse non risolvano in sé tutte le implicazioni che la transizione agroecologica richiama, ma come possano invece rappresentare la base di una trasformazione del sistema alimentare che richiede interventi su più livelli. Tutto ciò ci tiene lontani dalle secche di una visione tecnocentrica dell’agroecologia, da quegli approcci, cioè, che tendono a minimizzarne le componenti socio-politiche nel tentativo di ridurla ad un mero repertorio di pratiche agronomiche a cui attingere per mitigare gli impatti negativi del sistema alimentare industriale senza però metterlo in discussione.

L’agroecologia a cui guardiamo ha invece un carattere fortemente trasformativo e non può che basarsi sull’integrazione tra prassi produttive ecologiche, garanzia di reddito e diritti per i lavoratori e le lavoratrici della terra (siano essi contadini o braccianti salariati), costruzione di relazioni sociali ed economiche eque e solidali tra i diversi attori (rurali e urbani) dei sistemi alimentari, modelli di gestione democratica, modalità partecipative di produzione e condivisione delle conoscenze, nuove forme di attivismo sociale e politico.

Tutto ciò nell’ambito di un più profondo ripensamento della relazione tra le attività umane e la più ampia rete della vita. Si pensi per esempio al suolo, alla cosiddetta Food Soil Web: senza l’interrelazione di funghi, batteri, insetti, microrganismi, radici, mammiferi, anfibi, rettili, volatili e umani coltivatori, non potrebbe darsi agricoltura. La modernità capitalistica ha oscurato questa fondamentale interdipendenza. Dunque, i progetti estrattivi che minacciano interi gruppi umani, minacciano al contempo milioni di esseri viventi, che vanno da qualche micron a qualche metro di grandezza. La nuova lotta politica non può che configurarsi come una gioiosa alleanza multi-specie. ​​​​​​​

È importante sottolineare che lo spazio politico dell’agroecologia definito in questi termini non può essere considerato come un perimetro chiuso, dotato del carattere dell’esaustività. I testi e i principi a cui abbiamo fatto riferimento non esauriscono il dibattito e lasciano aperte tutta una serie di questioni, in particolare per quanto riguarda gli aspetti sociali e politici del paradigma agroecologico. In che modo integrare maggiormente nel dibattito una riflessione sugli aspetti sociali dell’agroecologia? Come sviluppare un legame nel contesto dei dibattiti su genere, transfemminismo e decolonialità?  Quali movimenti possono rappresentare gli alleati e i complici dell’agroecologia? Nel perimetro concettuale e politico che abbiamo tracciato, qual è lo spazio per un urbanesimo agroecologico a fronte di principi e definizioni tarati prioritariamente sulle esigenze del mondo rurale?

Trovare collettivamente le risposte ed integrarle nel nostro repertorio di idee e pratiche è una delle sfide con cui dovremo confrontarci.